A proposito della legge sulla procreazione assistita proponiamo questo articolo pubblicato dal Manifesto il 25 Settembre 2003

Sotto la giacca
di Stefania Giorgi

 


Louise Bourgeois

Un immaginario maschile scomposto, caotico, isterico, volgare. E' quello che si è squadernato ieri nell'aula del senato della nostra repubblica, con i rappresentanti più «anziani» del parlamento a berciare turpiloqui da caserma fascista alle parlamentari che protestavano contro l'approvazione (blindata) della legge (mostruosa) sulla procreazione assistita. Una legge inaccettabile e inapplicabile che discrimina, sanziona e vieta: la fecondazione eterologa, il ricorso alla procreazione assistita per i/le single e gay. Nel segno del primato del diritto a nascere del concepito. Un primato che mette in discussione il diritto della donna di e se essere madre e minaccia direttamente l'autodeterminazione in materia procreativa. «Non aprite quella porta», aveva tuonato Carlo Giovanardi nel 1999 durante la discussione alla camera su quel testo di legge dando la stura a dichiarazioni di voto e interventi che passavano schizofrenicamente da solenni richiami a principi morali ed etici per inesistenti famigliole fogazzariane alla messa in parola di un caos primigenio di incubi e di paure. Da inimagginabili filiazioni plurime al primato del biologico nel «nome del padre» scorsero all'epoca in quell'aula fiumi di sperma e accoppiamenti contronatura (di «incroci tra uomini e bestie» aveva parlato Mantovano). Una selvaggia seduta di inconscio maschile - consultabile negli atti parlamentari - che metteva in scena misoginia e paura. Delle donne, del corpo delle donne, procreativamente così potente da dover essere arginato a ogni costo. In primo luogo impugnando il diritto del concepito come un'arma tagliente e contundente rivolta contro di loro. Contro di noi.

Le parlamentari ieri sono entrate in aula e si sono tolte le giacche per mostrare le magliette che indossavano con la scritta «nessuna legge contro il corpo delle donne». E' a quel punto che gli argini si sono rotti e la misoginia più becera e berciante si è fatta strada tra i banchi di Palazzo Madama. Certamente a causa di una pratica battagliera che bypassa commissioni e gruppi parlamentari, certamente per la trasversalità della protesta che accomuna rappresentanti dell'opposizione e della coalizione di governo, molto per la frase stampata che non domanda mediazioni. Contro le «veterofemministe» ree di aver infranto le «regole» parlamentari e aver nominato il nocciolo del problema - l'asimmetria di uomini e donne nella procreazione - sono state scagliate con violenza parole pesantissime. Una triste replica di quello che i nostri legislatori troppo spesso dimostrano di pensare quando si discutono questioni che hanno a che fare con la sfera della sessualità e della differenza sessuale, tra donne e uomini. Era accaduto durante il dibattito per la legge sull'interruzione volontaria della gravidanza e per quello sulla legge contro la violenza sessuale. E' accaduto di nuovo ieri.

«Richiudete quella porta», verrebbe da urlare di fronte alla violenza ingiuriosa scagliata contro deputate e senatrici. «Non siamo diversi, ma siamo come gli altri cittadini e come tali siamo tenuti a comportarci» ha commentato Pierferdinando Casini. Ma, viene inquietantemente da domandarsi, in quale altro luogo del nostro paese - scuola, mercato, quartiere, condominio, luogo di lavoro - sarebbe potuto accadere quello che è accaduto ieri nel nostro parlamento?

Eppure è accaduto, proprio mentre, di là dell'Oceano, chi è alla guida del nostro paese e ci rappresenta all'estero invitava gli imprenditori americani a investire in Italia tirando fuori dal cappello l'ennesimo numero da «navigato» chansonnier. Un paese appetibile, depurato dai comunisti, paradisiaco per far soldi, persino morire (vista l'abolizione dell'imposta sulla successione), non prima - lascia intendere - di aver fatto sesso. Magari con le «bellissime segretarie» enumerate tra le attrattive del Belpaese.

Di certo ieri Palazzo Madama e il New York Stock Exchange sono stati scambiati per uno spogliatoio maschile. Degli anni cinquanta.